mercoledì 3 settembre 2008

Sull'amore

E' un po' lunghetto, lo so, ma permettetemi di proporvi questo passo de "La gaia scienza" di Nietzsche.

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Quante cose non son chiamate amore!

Cupidigia e amore: come sentiamo diversamente ognuna di queste parole! - e tuttavia potrebbe essere lo stesso istinto che riceve due volte un nome, la prima volta diffamato dal punto di vista di coloro che già posseggono, nei quali l'istinto s'è un po' pacificato e che ora sono in timore per il loro "possesso"; la seconda, dal punto di vista degli inappagati, degli assetati e quindi glorificato come "buono".

Il nostro amore per il prossimo - non è un anelito verso una nuova proprietà? E non è tale anche il nostro amore del sapere, della verità? E in genere ogni nostro anelito verso cose nuove? Poco per volta proviamo fastidio per ciò che è vecchio, posseduto in tutta sicurezza, e ritorniamo a tendere le mani; perfino il più bel paesaggio, dove abbiamo vissuto per tre mesi, non è più certo del nostro amore, e un qualche lido lontano attira la nostra cupidigia: il possesso viene per lo più diminuito dal possedere.

Il piacere di noi stessi vuole mantenersi in vita, trasformando sempre ogni volta in noi stessi qualcosa di nuovo - questo appunto significa possedere. Essere sazi di un possesso vuol dire essere sazi di noi stessi. (Si può soffrire anche del troppo - anche la bramosia di dissipare, di dispensare può attribuirsi il nome onorifico di amore). Quando vediamo soffrire qualcuno, utilizziamo volentieri l'occasione offerta in quel momento per impossessarci di lui: così fa, per esempio, il benefattore e il compassionevole; anch'egli chiama "amore" la bramosia suscitata in lui di un nuovo possesso, e vi attinge il suo piacere, come dall'arridere di una nuova conquista.

Ma quanto mai chiaramente si tradisce l'amore dei sessi come impulso alla proprietà:
l'amante vuole l'incondizionato, esclusivo possesso della persona da lui ardentemente desiderata; vuole un potere assoluto tanto sulla sua anima che sul suo corpo, vuole essere amato lui solo e insediarsi nell'anima dell'altro e signoreggiarvi come il bene più alto e più desiderabile. Se si pone mente al fatto che ciò non è altro se non escludere tutto il mondo da un bene prezioso, da una sorgente di felicità e di piacere; se si considera che l'amante mira ad impoverire e spogliare ogni altro concorrente e che vorrebbe diventare il drago del suo prezioso tesoro, essendo il più spietato ed egoista di tutti i "conquistatori" e i predatori; se si tiene finalmente presente che allo stesso amante tutto il resto del mondo appare indifferente, pallido, senza valore, e che egli è pronto a fare ogni sacrificio, a sconvolgere ogni ordinamento, a mettere in secondo piano ogni interesse; ci si meraviglierà effettivamente che questa selvaggia avidità di possesso e questa ingiustizia dell'amore sessuale sia stata a tal punto esaltata e divinizzata, come è accaduto in tutti i tempi, e che anzi da questo amore si sia ricavato il concetto di amore come contrapposto all'egoismo, mentre è forse proprio l'espressione più spregiudicata dell'egoismo stesso.

Evidentemente i nullatenenti e i bramosi di possesso - ce ne sono sempre stati troppi - hanno coniato questo uso verbale. Coloro ai quali in questo campo era stato concesso molto possesso e sazietà, hanno, sì, lasciato cadere di tanto in tanto una parola sul "demone delirante", come quell'Ateniese, più amabile e amato di tutti, che fu Sofocle: ma Eros rise in ogni tempo di questi tali maldicenti - proprio loro sono stati sempre i suoi più grandi prediletti. - C'è sì, qua e là sulla terra, una specie di prosecuzione dell'amore dove quell'avida bramosia che hanno due persone l'una per l'altra cede a un desiderio e a una cupidigia nuovi, a una più alta sete comune per un ideale che li trascende: ma chi conosce quest'amore, chi lo ha profondamente vissuto? Il suo vero nome è
amicizia.
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Questo è quanto, a me è piaciuto parecchio. Voi che ne dite?

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