venerdì 30 novembre 2007

Labirinto

I labirinti non sono solo materiali, non sono fatti solo di calce e mattoni, di cemento, labirinti naturali, o di qualunque altra cosa possiate pensare.

Quei labirinti, quelli fisici, sono i più semplici da risolvere, è relativamente semplice uscirne; ci sono vari metodi per venirne fuori, ne hanno trovati veramente tanti, a partire dal famoso filo di Arianna fino alla semina di molliche di pane per non perdere la strada.

I labirinti peggiori, quelli da cui sembra impossibile uscire, quelli che ci mettono veramente in crisi sono quelli mentali.
Si, sono i labirinti che crea la nostra testa, il nostro subconscio. Quelli che nascono piano piano, di nascosto, senza che ci si accorga di nulla.

Poi, un giorno, qualcuno (o qualcosa), ti spinge in un burrone. Tu cadi, cadi ed urli, cerchi di aggrapparti a qualcosa ma le tue mani afferrano solo l'aria, vento che ti colpisce il viso come milioni di coltellate gelate aprendo ferite su tutto il tuo corpo.

Ed ecco che finalmente appare la terra sotto di te. Si avvicina sempre più velocemente, ti correre incontro come un cavaliere che carica il nemico con in braccio la sua lancia migliore. La celata lascia vedere solo gli occhi, due globi rosso fuoco, due sfere infuocate che sembrano provenire dall'angolo più remoto dell'inferno.

Quegli occhi sono posati su di te. E tu ne hai paura.

Un botto, un dolore lancinante per tutto il corpo, la sabbia si posa sulle ferite aperte dal gelo, senti le ossa ridotte alla strenua di un ammasso gelatinoso.
Sei ancora vivo, e maledici la sorte perché non ti ha strappato subito via la vita, cosringendoti a soffrire in questo modo, costringendoti all'agonia senza la seppur minima speranza di sopravvivere.

Un colpo di vento ti sbatte in faccia una nuvola di polvere che si mischia col sangue sulla tua faccia, le ferite bruciano. E' un dolore che non hai mai sentito prima, una sofferenza così forte che non riesci a resistere. E svieni con la speranza di non risvegliarti mai più.

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Apri gli occhi, l'ultima cosa che ti ricordi è la lunga caduta, il dolore che hai provato.

Sei disteso su un materasso, il tuo corpo ricoperto da bende, nella bocca ancora il sapore amaro del tuo stesso sangue. Ti guardi attorno, solo quattro pareti ed un passaggio senza porta.
Provi a muoverti, ci riesci seppure con molta fatica. Il dolore è forte, la sofferenza indescrivibile. Le tue ossa implorano pietà ad ogni passo. Le zittisci.

Ignori il dolore, sopprimi la voglia di morire in quell'istante. Passi attraverso quel buco nel cemento, sei in un corridoio. Svariate porte, tutte uguali, tutte maledettamente identiche, e tutte che portano ad un corridoio diabolicamente congruente.

Non sai dove sei.
Non sai da dove sei entrato.
Non sai come uscire.


E mentre sei avvolto nei tuoi pensieri, nella tua disperazione senti un bambino piangere. E' lontano, molto lontano, ma i suoi singhiozzi arrivano nitidamente.

Cominci a camminare verso quella voce, verso quella povera creatura che lacrima come vorresti fare tu, ma più cammini e più il senso dell'orientamento ti abbandona. Cerchi di seguire i suoi singhiozzi, ma sono lontani, sempre più distanti.
Quando poi sembra talmente vicino da poterlo toccare, ecco che svoltato l'angolo non senti più nulla.

Questo è quello che sto vivendo ora. Sono solo, in un labirinto.
Sto cercando di capire chi è quel bambino, come arrivare da lui. Voglio scoprire chi o cosa mi ha portato in questa situazione, chi o cosa ha creato il labirinto stesso...

Ma nel farlo, sono solo...

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